Il simbolo che ho inserito, in matematica significa: "Diverso da", la definizione di diverso è: “Che non è uguale, né simile, che si scosta per natura, aspetto, qualità da un altro oggetto". Oppure la parola diverso è usata con riferimento a persone che per qualche aspetto, carattere o manifestazione, escono da quella che è considerata la condizione “normale” cioè handicappati fisici o psichici, omosessuali. “(Dal “Vocabolario della lingua italiana di Giovanni Treccani”)

martedì 25 gennaio 2011

Lettera di una madre al figlio disabile


Questa è la lettera di una madre al figlio disabile, pubblicata su Tuttiinsieme, «La rivista per quelli che fanno più fatica a vivere», fondata diversi anni fa da Chiara Guglielmo, una coraggiosa ragazza di Verona, lei stessa con gravi problemi fisici, «sono nato a mezzogiorno di venerdì. Senza grandi clamori, alla svelta, senza farmi soffrire troppo. Avevi gli occhi chiusi, la lingua penzoloni, ti guardai e pensai: "Com'è brutto!", ma non ebbi il coraggio di dirlo e dissi: "Com'è piccino!". Le cose, col tempo non miglioravano. Tutti sapevano, intorno a noi, meno tuo padre e io. Ci mandarono da un medico famoso. Quando tomai a casa, ti rimisi nella culla, ti guardai e pregai: "Signore, Dio da, Dio toglie: riprenditelo ora: “A che serve la sua vita inutile?". Perdonami figlio mio. Ti chiesi perdono allora, e ti chiedo perdono ora Inutile la tua vita?
Imparai che eri un figlio come gli altri, solo con problemi diversi. Quando dicesti "mamma", piansi di gioia, anche se avevi tre anni. Quando, malfermo sulle gambe, mi corresti incontro, spalancai le braccia e fui felice, anche se avevi più di quattro anni. E mi insegnasti la pazienza. Quando in quell'epoca, nessuno ti voleva, né la scuola né la società, imparai a essere umile, sorridente, gentile perché qualcuno ti facesse una carezza. E mi insegnasti l'umiltà. Quando la gente cominciò ad accorgersi di te e di quelli come te, cominciai a combattere, e combatto ancora, perché tu fossi accettato. E mi insegnasti a lottare. Quando infine le altre madri sognavano per i loro figli il primo posto nella scuola, nella carriera, nella società, io mi accontentavo dei tuoi primi progressi. E mi insegnasti a desiderare per i miei figli la felicità, non la ricchezza, né il successo.
E quando venne la zia ad abitare accanto a noi, inasprita delle sue disgrazie, con un carattere impossibile e insopportabile, sola per il vuoto che tutti i parenti le avevano creato intorno e incapace di star sola, ancora una volta la tua vita si mostrò non utile ma necessaria: per ventidue anni le facesti compagnia, giorno dopo giorno, sopportando il suo dispotismo, a volte la sua prepotenza, volendole bene, addolcendo i suoi momenti tristi, facendola sorridere per le tue usate paradossali. Per ventidue anni desti uno scopo alla sua vita, un ritmo alle sue giornate, un perché ai suoi gesti. Inutile la tua vita? Quando lei morì, ti riavemmo tutto per noi. Tuo padre e io, con la maturità, avevamo conosciuto una tenerezza nuova, un'intesa mai raggiunta prima- e tutti e tre passammo l'ultima vacanza felice all'isola d'Elba, la più bella di tutta la nostra vita. Poi la malattia, la mercé di tuo padre. Quando tornai disparata dal camposanto, trovai di nuovo te, a casa, te che non sapevi niente, che capivi poco, ma che "sentivi" per quella misteriosa sensibilità che hai, che qualcosa di terribile era successo. E per te ho ricominciato prima a sopravvivere, poi, sia pure in tono minore, a vivere: per te ho ricominciato a lavorare, a lottare. Tu sei la mia compagnia: se ho ancora una carezza, se qualcuno ancora mi abbraccia, se qualcuno ancora mi ricorda che il bisogno di tenerezza non ha età, lo devo a te. Se riesco ancora a dare felicità a qualcuno, questo sei tu, a cui basta tanto, poco per essere felice. Inutile la tua vita?». (G.V., Venezia)

lunedì 24 gennaio 2011

La storia di Simona Atzori


Simona è una ragazza di 41anni che è nata con una grave malformazione: non possiede entrambe le braccia.
Nonostante questo, Simona è diventata una ballerina e ora si esibisce in tutti i migliori teatri d’Italia (si esibirà anche a Padova a febbraio). Simona, oltre a ballare, ha imparato anche a dipingere senza utilizzare le mani e i soggetti preferiti dei suoi quadri sono degli abbracci. Nella puntata: “Invincibili” nel programma di Italia1 lei mentre dipinge dice: “Il colore è vivo e mi sembra di dar vita a qualcosa”. All’interno di questa puntata lei racconta la sua storia e dice la domanda più  interessante che i bambini mi hanno fatto è: “ Se Dio ti desse un desiderio vorresti riavere le braccia? La mia risposta è stata no, uno perché non le saprei usarle e secondo perché non avrebbe senso.” Poi il presentatore Marco Berry le fa una domanda: “Quali sono i momenti che ti senti più in difficoltà?” Simona risponde: “ Sono gli altri a mettermi in difficoltà, perché io di mio sono come mi vedi, sono positiva, capita che la gente mi guardi con la faccia poverina, magari non lo dice ma lo vedi, io sorrido a queste persone.”
“Pensavo talvolta che i veri limiti esistono in chi ci guarda” una frase di Simona Atzori presa dal libro di Candido Cannavò “E li chiamano disabili”.
Alla domanda: “E’ stato difficile affermare il tuo talento speciale?” Simona ha risposto: “
E' stato difficile e semplice allo stesso tempo. Posso dire che il mio segreto è stato quello di crederci sempre fino in fondo e di non smettere mai di sognare fino a quando anche gli altri hanno iniziato a sognare con me e la realtà ha preso il posto dei miei sogni.”

martedì 18 gennaio 2011

La storia di Valentina Locchi

Ci sono altre storie come quella di Valentina Locchi, 18 anni, non vedente, ha sbancato il montepremio del programma di Italia1 (Sarabanda), dopo aver conquistato il pubblico che l'ha seguita per settimane.
Dal sito internet di Valentina:
"Ero piccola, piccola ... Così! Prematura grave. La prima lotta dura è stata per rimanere in vita. Ce l'ho fatta con qualche danno ma la cosa importante, sempre e comunque, è vivere. E allora dico, viva la vita! La mia infanzia è stata bella grazie all'amore e all'interessamento di coloro che mi sono stati vicino: la mia famiglia, la scuola, gli amici. La scoperta del mondo e delle bellissime sensazioni che esso ti dà: l'acqua è sempre stata ambiente di libertà e distensione, il gioco come ebbrezza e liberazione della fantasia, l'ascolto come viaggio nello spazio e danza dell'intelligenza, la scuola come infinita conquista di leggerezza. Scoprire insieme agli altri che mi hanno sempre guidata, mi ha portato ad amare così intensamente la vita."