Il simbolo che ho inserito, in matematica significa: "Diverso da", la definizione di diverso è: “Che non è uguale, né simile, che si scosta per natura, aspetto, qualità da un altro oggetto". Oppure la parola diverso è usata con riferimento a persone che per qualche aspetto, carattere o manifestazione, escono da quella che è considerata la condizione “normale” cioè handicappati fisici o psichici, omosessuali. “(Dal “Vocabolario della lingua italiana di Giovanni Treccani”)

mercoledì 29 dicembre 2010

CENTRI RESIDENZIALI PER DISABILI

Questo centro ospita dai 20 alle 30 persone, per le quali non è possibile attivare nessun altro tipo di servizio, per questo:
-       risponde nei casi più gravi alle esigenze  del soggetto e della famiglia,
-       garantisce al soggetto momenti di socializzazione, con la famiglia nell’ambiente sociale,
-       garantisce interventi sanitari ed educativi finalizzati al mantenimento e all’acquisizione di capacità psico-fisiche.
I destinatari sono i disabili di varia età, privi di nucleo familiare, con disabilità tali da compromettere l’autonomia nelle funzioni di base.

IL CEOD (centro educativo occupazionale diurno)

È rivolto alle persone diversamente abili  che hanno assolto l’obbligo scolastico. L’obiettivo di questa struttura è quello di  perseguire il benessere globale della persona e della sua famiglia. Il ceod mira ad interventi individualizzati a seconda della necessità: sviluppa l’autonomia, la socializzazione, e cerca di migliorare le capacità manuali.
All’interno di questa struttura ci sono gruppi di persone che si dividono in base alla loro gravità del problema, quindi lieve, medio o grave.
All’interno della struttura ci sono diversi laboratori: musicoterapia, arte terapia, falegnameria, del verde, della ceramica. Diversi da struttura a struttura, inserite a seconda della capacità, della manualità, dei soggetti. Alcune attività svolte all’interno dei laboratori, sono a fine di lucro, per sostenere la struttura.
Sei anni fa ho potuto svolgere lo stage all’interno del ceod “La Magnolia” di Piove di Sacco. È stata per me un’esperienza positiva ed ora come ora posso riportare l’esempio del laboratorio del verde. In questo laboratorio è presente una serra, nella quale le persone aiutate dall’operatore possono compiere diverse attività manuali: seminare piantine di ogni genere, di ogni colore, poi ogni mattina annaffiarle, finchè non diventano dei  bellissimi fiori/piante. In questo modo si puo’ insegnare alla persona il ciclo di vita della natura. Tutti i fiori, le piante coltivate dentro la serra, vengono poi vendute al mercato del paese. Ci sono altre iniziative all’interno della struttura: ogni fine anno, verso maggio, viene svolta una grande festa, la quale è aperta a tutta la popolazione.

giovedì 23 dicembre 2010

Il centro socio educativo..

Il centro accoglie disabili con autonomia molto compromessa al fine di:
-       sostenere la famiglia nel peso dell’assistenza;
-       mantenere e sviluppare, con programmi personalizzati l’autonomie, le abilità intellettive, psicomotorie;
-       favorire la socializzazione con l’ambiente esterno.
I destinatari sono ragazzi dai 15 anni in su, per i quali non è possibile un inserimento scolastico o lavorativo.

mercoledì 22 dicembre 2010

I servizi:

COMUNITA’ ALLOGGIO
La comunità alloggio è un servizio a carattere familiare, ubicato in normali case di abitazione e collegato ai servizi socio assistenziali di base.
Accoglie tra i 5 e i 10 utenti al fine di:
-       evitare il ricovero in istituto;
-       mantenere i soggetti nell’ambiente a cui appartengono;
-       stimolare l’autonomia e aiuto reciproco;
-       risolvere il problema abitativo.
I destinatari sono giovani o adulti, con un grado di non autosufficienza psicofisica tale da richiedere un sostegno

Anche il teatro..


Questo articolo l'ho preso dal sito www.oltrelebarriere.net che parla di un ragazzo disabile, che è diventato un attore.
A 9 anni David Anzalone capì per la prima volta d’essere nato attore, il suo attuale mestiere. Ma fu il solo a rendersene conto, perché appena divenuto adolescente in municipio gli scrissero sulla carta d’identità, alla voce «professione», l’incredibile sentenza: «Handicappato».
La gente, si sa, non va oltre le apparenze e le sue gli sono avverse fin dalla nascita: una tetraparesi spastica, cioè un deficit muscolare dei quattro arti, che gli provoca problemi di deambulazione e difficoltà nell’articolazione della parola. «D’estate i miei genitori mi mandavano in vacanza dalla nonna materna a Piticchio, un piccolo borgo medioevale, abitato perlopiù da anziani, nell’entroterra marchigiano. Ogni pomeriggio i nonnetti si radunavano in una piazzetta nei pressi delle mura. Mi sentivo i loro sguardi addosso. “Poverino, che disgrazia…”, mormoravano.

Pensai: vuoi vedere che stanno parlando di me? Ebbi uno scatto d’orgoglio: ma quale disgrazia, in fondo sono soltanto handicappato! Così decisi di andarmi a sedere proprio in mezzo a loro. Fuggifuggi generale. I pochi rimasti avevano l’espressione di chi pensa: “E ora? Lo guardo o faccio finta di niente?”. Finché un vecchietto prese coraggio ed esclamò: “Ma non è che per caso s’attacca?”. La “malattia”, intendeva. E io, di rimando: no, tranquillo, solamente se sputo. Ci fu un attimo di silenzio, poi tutti scoppiarono a ridere. In quel momento capii che con le risate potevo movimentare un po’ l’ambiente».
Passati 23 anni, è questo che David Anzalone continua a fare: ridere di se stesso. Su Internet, in televisione, a teatro (il suo monologo Targato H, che dal gennaio 2006 ha girato l’Italia, il 19 febbraio tornerà in scena a grande richiesta: prima tappa Milano, Teatro della Cooperativa), adesso anche in libreria, con Handicappato e carogna, edito da Mondadori, scritto a quattro mani con Alessandro Castriota. «Carogna» perché ad Anzalone, in arte Zanza, non fa certo difetto il sarcasmo, che esercita innanzitutto contro le persone nelle sue stesse condizioni. Infatti si presenta così: «Dopo tanti comici handicappati, finalmente un handicappato che fa il comico. Ci chiamano diversamente abili e tu stai tutta la vita a chiederti: ma a che cazzo sarò abile io?».

La nascita della Paralimpiadi

L'apice degli sport per i disabili sono le paralimpiadi che si svolgono ogni quattro anni negli stessi luoghi e negli stessiimpianti delle Olimpiadi. Riporto ora la storia della nascita di questa competizione presa dal libro di Candido Cannavò "E li chiamiamo disabili":
Nel 1948 Guttman organizza a Stoke Mandeville i primi Giochi per atleticon disabilità. vi sono para e tetraplegici. lo fa in coincidenza con i Giochi Olimpici, che si svolgono in Inghilterra (...).
Quattro anni dopo, agli altleti inglesi si aggiundono quelli norvegesi. Il termine Paralympic era inizialmente un gioco di parole che combinava " paraplegic" a "olympic". Con l'inclusione di altri tipi di disabilità e la sempre più stretta unione con il Movimento Olimpico, rappresenta ora la fusione fra "Parallel" (dalla preposizione greca "para") e "olympic", a mostrare quanto i due movimenti siano facce della stessa medaglia. i giochi sono stati denominati paralimpici o paralimpiadi da Seul '88. L'Italia ha avuto una parte fondamentale nella nascita dello sport per dissabili. A Roma nel 1960 si sono tenuti infatti quelli che sono ritenuti i primi veri Giochi Paralimpici. Furono davvero una sorte di piccole Olimpiadi che includevano 8 sport, sei dei quali sono ancora presenti nel programma paralimpico e vi parteciparono 400 atleti di 23 nazioni.Si svolgono anche Paralimpiadi invernali. Rispetto alla prima edizione in Svezia nel '76 si è avuto anche in questo caso un incremento cramoroso che raggiungerà l'apice a torino 2006.(...)

domenica 19 dicembre 2010

Altri sport..



Questa intervista è presa dal sito superando.it
Albert Herbert e Michael Knaus sono due tecnici dello sci per disabili che, qualche tempo fa, per conto dell'associazione predazzese SportABILI. L’ intervista riporta tata è di Albert Herbert, che dal 1988 al 1998 è stato responsabile tecnico dello sci alpino nella FISD, Federazione Italiana Sport Disabili (settore fisico e mentale)
E i disabili? Quando hanno incontrato lo sci?
«I primi dati certi risalgono alla seconda guerra mondiale: i numerosi reduci amputati che sapevano sciare si sono inventati un modo per continuare a farlo, nonostante la loro modificata fisicità.

Tre sci, uno per racchetta e il terzo per la gamba sana, hanno permesso di sciare ad amputati sopra il ginocchio. Zeppe sotto gli scarponi e cavi e carrucole per piegare l'articolazione sono stati i primi ausili per disabili amputati sotto il ginocchio.
Nel 1947 questo sport si è diffuso molto e l’anno dopo sono stati organizzati i primi corsi per disabili. A questo punto ai disabili di guerra si sono aggiunti altri disabili, ma fino agli anni Settanta amputati e non vedenti erano gli unici a sciare».
E i disabili in carrozzina?
«La voglia di sciare e la fantasia li hanno spinti a produrre diversi prototipi per sciare, fino all’invenzione del monosci». 
Come funziona?
«Il monosci, in un sedile Kevlar con sospensioni, è attaccato a uno sci normale mediante un dispositivo. Il disabile scia utilizzando l’equilibrio del proprio corpo, aiutato da due stabilizzatori. Stabilizzatori e sospensioni che, nel corso del tempo, sono stati perfezionati, tanto che ora, con il mono-sci, si può fare slalom ad alto livello».
Lo sci per persone con disabilità è uno sport costoso?
«Questa domanda tocca un tasto delicato. Ai costi dell’attrezzatura bisogna aggiungere infatti quelli dei viaggi, degli alloggi e del tempo dedicato agli allenamenti, spesso rubato alle vacanze o ai permessi lavorativi. È molto difficile trovare sponsorizzazioni in questo campo, anche se la situazione sta migliorando».



Alle paraolimpiadi partecipano anche atleti ciechi che, per gareggiare devono fare affidamento sulle loro guide. Nella foto, la sciatrice che sta dietro è non vedente e ascolta le istruzioni della sua guida che le sta davanti.


venerdì 17 dicembre 2010

MAMMA, GRAZIE DI AVERMI FATTO DISABILE


Quest’intervista che ora riporto (Fonte: Tackle ragazzi 2006/2007) è di Matteo Cavagnini un ragazzo che è riuscito a diventare uno dei primi giocatori paraolimpici della nazionale Italiana di basket.
Un’intervista che fa riflettere sia sulla disabilità e sia sulla vita di tutti i giorni:
Raccontaci un po’ la tua storia
Ciao, sono Matteo Cavagnini sono nato e vissuto a Brescia, il mio sogno era diventare un calciatore, però a 14 anni ho avuto un incidente in motorino (dopo tre mesi che ce l’avevo)
e ho subito l’amputazione di un arto.

Com’è cambiata la tua vita dopo l’incidente?
Dopo un trauma di questo tipo, la reazione è quella di perdere di vista gli obiettivi della tua vita e ti butti in tutto quello che può devastarti. Invece, tutto di un colpo, ho incontrato delle persone in ufficio, che mi hanno proposto:” Vieni a giocare a pallacanestro?” e io li: “Siete matti?Ma non riesco a camminare!” la reazione tipica di un amputato è questa.. io non mi sento un disabile, perché non ti accetti come disabile, non accetti la carrozzina, non hai il senso di disabilità. Li ho detto: “Assolutamente no”; poi invece, ho scoperto che quella forse era la maniera per riuscire ancora a sentirmi all’altezza di questo mondo. Mi sono trovato lì ed è iniziata questa grande passione.
Cosa rappresenta lo sport per te?
La mia vita è tutta sulla pallacanestro e anche sul lavoro, comunque la mia vita è la pallacanestro.
Da li sono cominciati tanti sacrifici, ma alla fine sono diventato uno dei primi giocatori dell’Italia, considerato tra i migliori 5 delle paraolimpiadi che ho fatto ad Atene, insomma dei bei traguardi.

Cosa vuoi dire ai ragazzi che non riescono più a giocare insieme, ai giovani che credono così poco in loro stessi?
Stamattina ero a Brescia in un istituto tecnico con dei ragazzi di 15-16 anni a parlare della disabilità, dello sport per i disabili. Quello che voglio trasmettere è il non mollare. Può succedervi qualsiasi cosa, ma non dovete mai mollare.
Un ragazzo di 16 anni disabile che abbiamo avvicinato al basket ha detto a sua mamma:
“Mamma, lo sai che a questo punto ti sono grato di avermi fatto disabile, perché non sono scemo come quei due amici che mi prendono sempre in giro?” La mamma, quando ce l’ha detto aveva le lacrime e ci ha detto: “Grazie ragazzi, avete salvato la vita a mio figlio”. Noi, racconta Matteo, non abbiamo fatto niente di particolare, ma è lui che si è reso conto che può fare qualcosa. Però oltre a far azione di sensibilizzazione nelle scuole, per coinvolgere altri ragazzi a giocare, ci sono altri fattori: ad esempio, quando ho fatto l’incidente ho preso 100 milioni dell’assicurazione, adesso uno che fa un incidente come il mio prende 400-500 mila euro. Secondo te, uno con tutti quei soldi viene a fare sacrifici in palestra? Purtroppo il ragionamento che viene fatto è: con i soldi si divertono, di certo non vengono in palestra a fare fatica. È dura riuscire a trasmettere veramente quello che  facciamo, ma il sacrificio alla fine, comunque ripaga.